Maravilhosos, sem dúvida...mas a Alessia, por certo, precisa conhecer Camões e Bilac...
CULTURALMENTE
Sonetti: i 5 più famosi e belli della storia
12 Dicembre 2018 - di Alessia Cristiano - Commenta
5 sonetti che devi conoscere, e la loro storia
Il sonetto nasce con la lirica siciliana a opera di Giacomo da Lentini e con una struttura ben precisa che ne definirà il modello nei secoli a venire. Esso si affermerà, pertanto, sia in Italia che all’estero, come elemento portante della cultura poetica.
Il termine provenzale “Sonet” -da cui trae origine il nome della forma metrica- era associato al significato di “melodia” e ciò induceva gli studiosi a pensare che i sonetti venissero solitamente declamati con un accompagnamento musicale. L’origine del sonetto appare, d’altronde, ancora incerta per molti motivi. Alcuni studiosi, infatti, erano convinti che il sonetto derivasse dallo strambotto siciliano, ovvero un breve componimento popolare di carattere amoroso, consistente in otto versi endecasillabi e che si sarebbe diffuso in Italia a partire dal XIV secolo.
Tuttavia, la struttura convenzionale del sonetto ne lega l’invenzione a una natura maggiormente colta, considerandolo il derivato della stanza di una canzone, la quale si distingueva per la presenza di quattordici versi endecasillabi, organizzati in due quartine e due terzine, con un schema rimico solitamente alternato e incrociato, in seguito, grazie agli Stilnovisti.
Da Dante Alighieri a Foscolo, passando per Shakespeare con il sonetto elisabettiano, sono molti gli autori a essersi cimentati in questa impresa poetica, ottenendo come risultato autentici capolavori. Eccone cinque tra i più famosi.
Sonetti, da Giacomo da Lentini a Foscolo
Giacomo da Lentini – Amor è un desìo che ven da’ core
Amore è uno desio che ven da’ core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nascimento:
ché li occhi rapresentan a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio
com’è formata naturalemente;
e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.
Il primo tra i sonetti presi in considerazione è appunto quello dell’ideatore di tale forma metrica, Giacomo da Lentini. Nel suo componimento, l’autore cerca di spiegare come amore e bellezza siano indissolubilmente legati e come, appunto, tale sentimento nasca prima di tutto dagli occhi. Il poeta sottolinea, inoltre, il motivo di questo fenomeno spiegando come la bellezza alberga solo in un cuore gentile e che la bontà si manifesta esteticamente. Ed è questo che accende la miccia dell’innamoramento, la quale in seguito verrà alimentata dalla conoscenza della persona amata e dei suoi pregi.
Guido Cavalcanti – Voi che per li occhi mi passaste ‘l core
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.
E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.
Alla stregua di Da Lentini, anche Guido Cavalcanti nel suo sonetto “Voi che per li occhi mi passaste ‘l core”, pone come argomento principale del suo componimento l’amore che nasce in primis dalla vista dell’amata. A differenza del suo iniziatore, però, Cavalcanti descrive con accuratezza anche gli effetti di quest’amore tanto repentino, immaginando il proprio cuore colpito dal dardo di Cupido e lasciato morto, a causa della ferita inferta. Amore doloroso, quindi, e che porta con sé pena poiché l’oggetto del proprio amore resta inaccessibile per il poeta che è costretto a osservare la donna amata da lontano.
Dante Alighieri – Tanto gentil e tanto onesta pare
Tanto gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender non la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.
Sulla scia del sonetto dello Stilnovo, anche Dante Alighieri si cimenta in questa innovazione poetica, ponendo al centro dell’attenzione, stavolta, non il sentimento amoroso, ma l’oggetto d’amore: la donna. Si sottolinea in maniera più accurata come sia la donna con la sua bellezza a suscitare l’affetto nell’uomo. Fa la sua apparizione la Donna Angelo che accompagnerà i componimenti stilnovisti per tutto il periodo in cui tale tendenza occuperà la scena. La donna come tramite -strumento- di un sentimento travolgente che lascia stupefatto il poeta e che lo colma al punto da spingerlo a dedicare un componimento alla sua amata, senza tuttavia farne il nome.
William Shakespeare – Soneto 116
Non sia mai ch’io ponga impedimenti all’unione di anime fedeli;
Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore
è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto,
benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo,
pur se rosee labbra e gote dovran cadere
sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore
e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
Quando si parla di sonetti, risulta oltremodo doveroso citare Shakespeare, punto di riferimento della poesia inglese con i suoi temi di amore, giovinezza e immortalità dei versi. Il sonetto preso in considerazione è il numero 116 della sua raccolta, dove l’autore si accinge a dare una definizione di quello che crede essere l’amore. Il poeta descrive questo sentimento come una forza primordiale che si erge al di sopra di spazio e tempo; che rimane immutato di fronte agli ostacoli, sostegno nei momenti di fatica ed eterno nel cuore di chi lo prova. Shakespeare descrive il sentimento amoroso in un modo senza precedenti, considerandolo come unico conforto per le anime desolate e cura per ogni ferita. Chi potrebbe non innamorarsi di questi versi? Quello di Shakespeare, però, si classifica come sonetto elisabettiano, a causa della sua diversa struttura. A differenza del sonetto classico, il componimento del poeta inglese era caratterizzato da tre quartine e un distico finale, il quale fungeva da chiusura.
Ugo Foscolo – Alla sera
Forse perchè della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Dulcis in fundo, il sonetto affonda le sue radici nei secoli a venire, tornando alla ribalta anche nell’800 con Foscolo. Il contesto storico e l’affermazione di nuove tendenze artistiche portano però a un cambiamento per quanto riguarda le tematiche affrontate. Non ci si sofferma più sul sentimento amoroso e la bellezza della donna, ma l’attenzione si sposta verso temi più cupi. Con l’affermazione del Romanticismo, ci si lega a tematiche quali la caducità del tempo e l’angoscia della morte. Il poeta, infatti, dedica il proprio componimento alla “sera” paragonata al sonno eterno della morte che, se da un lato porta quiete all’uomo, dall’altra è motivo di angoscia, in quanto indissolubilmente legata alla fine della vita.
Per la sua capacità di spaziare tra i temi più vari e di sopravvivere nel corso dei secoli, il sonetto resta ancora oggi una delle forme metriche più apprezzate tra gli amanti della poesia.