LA LIBERTÀ DEL SILENZIO DI STELA DO PATROCÍNIO EM REINO DOS BICHOS E DOS ANIMAIS É O MEU NOME.
Inaê Silva Pereira Sodré –. inaesodre@gmail.com
Maria Teresa Versaci . ter.terry@tiscali.it
SINTESI: Questo articolo ha l’obbiettivo di mettere in evidenza le parole poetiche di Stela do Patrocinio, una donna nera e poetessa, che ha passato trenta dei suoi cinquantadue anni nel manicomio Juliano Moreira no Rio de Janeiro. Sono discorsi registrati durante due anni, trascritti , e organizzati su carta da Viviane Mosé. Stela denuncia con un linguaggio poetico, la crudeltà di quello che succedeva dentro le mura del manicomio per azzittire e mortificare il soggetto, a costo della violenza, in nome della ragione e sotto la connivenza della società. La scissione del linguaggio per Descartes, mette la ragione come sovrano e la follia come subordinata all’interno di una cultura. Una cultura che isola il “ Malato di mente” per renderlo “Normale “ in quanto tale perché vive al di fuori delle mura del manicomio.
PAROLE CHIAVI: Ragione; follia ; letteratura; rappresentazione dell’identità.
ABSTRACT: This article intends to highlight the poetic speaking style of Stela do Patrocinio, a black woman and poet, who spent thirty of her fifty-two years in the Juliano Moreira mental institution in Rio de Janeiro. Over the course of two years, her words were recorded, transcribed and organized by Viviane Mosé. Using poetic language, Stela do Patrocínio denounces the cruelty that was used in the name of reason and under our connivance. According to Descartes, the division of language places reason as sovereign and madness as subordinate within a culture, a culture that isolates the “mentally ill” to distinguish those who are “normal” simply because they are outside of the exclusionary walls of the mental asylum.
KEYWORDS: reason; madness; literature; representation of identity
All’inizio tutto era Verbo che poi diventò Parola e che ha preso Corpo e che a sua volta si è incorporato nel linguaggio. Le parole danno un nome alle cose, traducono i sentimenti, delimitano un pezzo di intensità della vita, rappresentano il mondo. Ma le parole utilizzate per comprendere e interpretare il nostro mondo, la verità palpabile o probabile, possono diminuire le possibilità che il senso che la parola ci può dare. Il linguaggio come un fiume nel tempo, in un certo momento si divide e segue due vie nella storia del pensiero. Una parte fluisce nel dizionario e l’ altra nella poesia. Sarà possibile che le parole esatte del vocabolario della ragione siano sufficienti a comprendere e interpretare il nostro mondo?
Secondo Viviane Mosè, la ragione si caratterizza per la capacità che tutti gli esseri umani hanno di creare e articolare le parole e il pensiero, vuol dire, pensare per causa ed effetto, per identità, di forma, organizzata, chiara, con contenuti, senza contraddizioni, senza eccessi, senza emozioni (MOSÉ, 2012, p. 112). Nell’età moderna o l’età classica , come dice Focoult, secolo XVII, o il matematico e filosofo francese Renè Descartes, si inaugura la ragione come modello di pensiero filosofico basato sulla precisione matematica, “ Penso, dunque sono” è la massima celebre del famoso pensiero cartesiano che si trova nella sua opera Discorso sul metodo per condurre la ragione alla ricerca della verità dentro la scienza, nella quale il dubbio è eletto come strumento per investigare e comprendere il mondo. Questo perché per lui, anche se dubita al massimo di qualcosa, non può mai dubitare di uno che dubita, perché il dubbio è un’azione del pensiero, quindi questo pensiero non può mai avvenire senza che esista un soggetto.
Percepivo che, quando pensavo che tutto era falso, divenne necessario che io - io che pensavo- era una cosa e notando che questa verità-penso quindi sono- era tanto ferma e tanto sicura che tutte le stravaganti supposizioni degli scettici non erano stati capaci di smuovere, ho dedotto che potevo accettarla come scrupolo, come principio della filosofia che stavo cercando (DESCARTES, 2011, p. 50)
Quello che la ragione vuole è, dal tempo della sua nascita platonica, rifiutare una parte della vita che cambia, a quella che delira a quella che muore. Quella che la ragione vuole è produrre un mondo di identità e verità, un mondo prevedibile e chiaro (MOSÉ, 2001. p. 22). Michel Foucault accusa René Descartes di dividere il linguaggio in due parti: Ragione e Non Ragione. Da un lato, la Ragione come verità, coscienza, chiarezza, normalità, lucidità e dall’altro la Non Ragione come errore, oscurità, disordine (FOUCAULT, 1997. p. 45).
La principale preoccupazione di Descartes contro una tradizione scolastica era in cui la specie era concepita come entità semimateriale, semi-spirituale, era quella di separare con esattezza il meccanismo e il pensiero, dove il corpo è ridotto a pensare meccanicamente (SARTRE, 2008, p. 13).
Secondo Viviane Mosé (2012), Descartes riduce l’esistenza al pensiero, valorizza il mondo dell’idea , cerca la verità ed esclude il corpo come possibilità di interpretazione del mondo. In questo modo, esclude dalla vita l’intensità e il linguaggio artistico. E pensare cartesianamente è pensare per causa ed effetto, per identità per non contraddizione. Perché il pensiero razionale abbia un senso, le cose hanno bisogno di opporsi, siano fisse, una dall’altra : il bello opposto al brutto, il giusto allo sbagliato, il chiaro allo scuro, il normale all’anormale, la ragione e la pazzia. Lui crede che il corpo , le sensazioni ,le emozioni, sono fonti di errori e di disordini (MOSÉ, 2012, p. 130). Posto questo, gli uomini hanno bisogno di opporsi alla sensibilità e le percezioni e ricercare la verità come essenza delle cose che vengono dal pensiero e dalle idee. Pertanto, la ragione non è naturale è stata inventata in un determinato tempo della nostra storia , vuol dire che è stata costruita dalla cultura ed è un prodotto della nostra civilizzazione.
La ragione come tradizione inventata, era basata su un insieme di pratiche regolate da regole tacite o apertamente accettate. Queste pratiche, di natura rituale o simboliche, sono destinate a inculcare certi valori e norme di comportamento per mezzo della ripetizione del discorso (HOBSBAWM, 2012, p. 12). La grammatica normativa è un esempio di come il discorso della ragione è perdurato nel tempo. Quindi la grammatica normativa sostiene l’idea del soggetto e predicato, in regole, norme, nella non contraddizione, nella “Logica della esclusione” per Viviane Mosè,
Questo assoluto, centrato sulla nozione dell'Essere, fonda la fede nell'identità, ragione di essere di tutta la grammatica, facendo in modo che si instauri in tutto il testo, una logica dell’ identità che esclude sempre le differenze e che trova supporto in una posizione del soggetto stabile, unico, senza affetto e senza corpo (MOSÉ, 2012, p. 53).
Perché il pensiero razionale si potesse mantenere come modello di un vero discorso,attraverso il ripetere del discorso “vero” dal “parlare corretto” e “parlare sbagliato” cercarono di rinchiudere tutti quelli che vi si opponevano, vuol dire, tutti quelli che erano contro di lui : quelli che deliravano, quelli che eccedevano, quelli squilibrati, quelli che oltrepassano le norme stabilite. Come dice Foucault, “Il dubbio di Descartes scarta l’incanto dei sensi, attraverso i paesaggi dei sogni, guidati sempre dalla luce della verità; ma lui bandisce la follia in nome di colui che dubita, e che non può dissennare più di quanto non può pensare o essere (FOUCAULT, 2012, p. 47).
Michel Foucault, nel suo libro L’Ordine del discorso, sostiene che la divisione del linguaggio è nel dominio del discorso. E 'attraverso le parole che riconosce la follia del folle. Afferma che, dagli arcani del Medioevo che il folle è colui il cui discorso non può essere trasmesso come quello degli altri: e la sua parola non vale niente e non esiste, non avendo nessuna verità né importanza, non può testimoniare sulla giustizia e non può autenticare un atto o un contratto e non può neppure,servire nel sacrificio della Messa, permettere la transustanziazione del pane al corpo, e come contrario di tutto questo, a differenza di qualsiasi altra parola, gli sono attribuiti sconosciuti poteri: quelli di dire una verità nascosta, o di annunciare il futuro, o vedere, con tutta la credulità, quello che la sagacia degli altri non riesce ad accertare (FOUCAULT, 1970, p. 10). Secondo Roland Barthes, nel suo libro Classe, la lingua è l'oggetto su cui è inciso il potere (BARTHES, 1980, p. 11). La ragione impone, giudica, controlla, zittisce, isola , esclude, tortura e uccide.
Tra le più antiche esperienze di ricoveri, abbiamo la costruzione dei lebbrosari. Questi furono costruiti nel secolo IV d.C. e mantenuti come luoghi di esclusione fino alla scomparsa della lebbra nel sec. IV d.C. sul finire del Medio Evo. Questi spazi accoglievano non solo i lebbrosi , ma anche gli indesiderati della società: mendicanti, poveri, omosessuali, prostitute, storpi e altri (FOUCAULT, 2012, p. 41). Dopo che la lebbra sparì, la società aveva bisogno di riempire quegli spazi vuoti di esclusione. Il manicomio fù lo spazio scelto per escludere i matti e tutti i tipi differenti o strani che rappresentassero la figura del matto.
Chi addentrava nel manicomio, entrava nella valle della morte. Le persone morivano di freddo, perché dormivano sul pavimento, senza vestiti e senza coperte, o altri gettati fuori all’aperto. Morivano di fame elettroshock, di infezioni nello bere acqua sporca o mangiando feci di ratti. Molti morivano di polmonite, altri sul tavolo operatorio a causa della lobotomia. Stela do Patrocinio fu testimone di quello che succedeva nella parte interna del manicomio e denunciò, poeticamente, le “attenzioni” mediche e le forme più violente come metodo di “guarigione” di chi osava disobbedire alle regole. O disubbidiva agli ordini. Oppure sfuggire allo standard.
Stela ha potuto per mezzo della sua parola, dare testimonianza della sua esperienza, nella condizione di vittima di un sistema ultrapassato di trattamento del manicomio, che secondo le parole di Michel Foucault “Usava la forma più bizzarra di violenza e tortura come metodo per controllare il corpo” (FOUCAULT, 1997 p. 141). Segundo Daniele Arbex (2013),
(...) Per decenni le persone sono state infilate – in generale obbligatoriamente - dentro un vagone del treno che li scaricava in Colonie. Lì i vestiti venivano strappati, i capelli rasati e i loro nomi cancellati. Nel corpo e nell’identità, l’umanità sequestrata, uomini e donne perfino bambini venivano “Ignorati di questo”. Erano epilettici, alcolisti, omosessuali, prostitute, mendicanti, militanti politici, gente che si ribellava, gente che era scomoda per qualcuno che stava al potere. C’erano ragazze incinte, violentate dal proprio padrone, mogli confinate dal marito perché quest’ultimo potesse convivere con la propria amante, figlie di fazendeiros che perdevano la verginità prima del matrimonio. C’erano uomini e donne che avevano perso i loro documenti. Alcuni di loro erano solo timidi. Circa trenta erano bambini. (ARBEX, 2013, p.14).
A causa del pensiero di escludere la ragione, vive in ciascuno di noi un lebbrosario vuoto. Ma perché la nostra cultura lo esclude? Perché certi sentimenti sono considerati patologie? E il normale cosa sarebbe? Secondo George Canguilhem (2012) nel suo libro Il Normale e il Patologico, nella prospettiva oggettiva si raggiunge l’idea di normale con una base nella regola statistica. Ossia , a partire dalla misurazione del comportamento e dell’esperienza di una determinata popolazione si ha un parametro di normalità. Coloro che si discostano da questo standard sono considerati al di fuori del normale. Dall’altro lato, da una prospettiva soggettiva, è noto che tutti gli esseri umani sono dotati di una mente, di una vita soggettiva, che regola le relazioni con gli altri e con il resto dell’ambiente e queste relazioni con gli altri implicano piacere, dispiaceri, frustrazioni e sofferenze. Soffrire, così come essere allegri o tristi fa parte della condizione umana. Per Canguilhem, relazionarsi normalmente con qualcuno implica trattare l’altro come soggetto etico in altre parole come soggetto uguale a sé.. E quando, in qualche modo, egli priva tale persona della condizione di soggetto, andando a trattarla come uno strumento del suo piacere, sarà quindi il superamento del limite, finendo nel campo della patologia. E quindi, qualsiasi sentenza che appropri o qualifichi un fatto in relazione ad una regola, questa forma di giudizio è subordinata a chi istituisce le regole. (CANGUILHEM, 2012, p. 80). Pertanto, è incerto se la normalità è fuori o dentro le mura dei manicomi.
Con il libro Reino dos Bichos e dos animais é o meu nome (Il Regno degli insetti e degli animali è il mio nome ) di de Stela do Patrocínio (1941-1992), si presenta la voce e la parola di un donna nera , poetessa rinchiusa, nell’Ospedale Psichiatrico, Juliano Moreira ,di Rio de Janeiro, che ha passato trenta dei suoi cinquantadue anni, internata nel manicomio, vittima dell’esclusione, imposta dal pensiero razionale, della scienza e per la connivenza della società. Lei fu una delle internate che visse prima e dopo la Riforma Psichiatrica nel Brasile, negli anni 1980. Per mezzo del linguaggio poetico, la parola di Stela do Patrocinio fu ascoltata, registrata e trascritta sulla carta. Questo libro ci mostra la rottura di un silenzio durato secoli imposto ai “matti” dal potere del tempo e della cultura. La sua produzione ha avuto luogo in un contesto sui generis di oralità in seguito alla trascrizione del poema e testo. Cosciente del suo tempo, del suo spazio e della sua condizione, Stela parlava, parlava e parlava:
Giorni, settimane , mesi l’anno intero/minuti secondi tutte le ore giorno e notte volevano uccidermi/ Volevano solo uccidermi/Perché dicevano che avevo la vita facile/Ho la vita difficile/ Allora perché ho la vita facile/Ho la vita difficile/Loro vogliono sapere come posso stare, nascendo senza facilità e con difficoltà/ E’ per questo che loro vogliono uccidermi (PATROCÌNIO, 2001, p.64).
Quello che sa Stela do Patrocinio è che è nata il 9 di Gennaio, del 1941, figlia di Manoel do Patrocinio e Zilda Xavier do Patrocinio. Nubile, di istruzione secondaria, lavorava come impiegata domestica. Viveva nella Rua Maria Eugenia, numero 50, apto 501, Botafogo , Rio de Janeiro. Si prostituiva per poter mangiare. “Facendo godere il mondo intero e senza nessun godimento”(PATROCÍNIO, 2001, p. 126). Stela si inquadrava perfettamente fuori dagli standard normativi stabiliti: donna, nera e povera. Detto questo, sarà forse che Stela do Patrocinio, nella condizione di subalternizzata, dentro la nostra cultura, patriarcale, schiavizzata, bianca e capitalista, era davvero matta o la fecero diventare?
Dopo una caduta, nella via Rua Valontarios da Patria , misero Stela all’emergenza del Pronto Soccorso. Gli fecero un iniezione. Gli diedero una medicina. Gli fecero l’elettroshock. La mandarono a fare una doccia. La mandarono a cercare tavoli, sedie, sedie e tavoli. Gli diedero un vassoio con riso ,chuchu, carne, fagioli, e dopo chiamarono l’ambulanza con l’assistenza e dissero: “Portatela !” (PATROCÍNIO, 2001, p. 49). “ Io sto in una casa di cura per vecchi/In un ospedale dove tutto è malattia/In un ospizio/Un luogo di folli/matti/pazzi” (PATROCÍNIO, 2011, p. 47).
Stela fu rinchiusa nel 1962, a 21 anni, rimanendo quattro anni nel primo manicomio dell’America Latina, a Rio de Janeiro: l’Ospedale Pedro II. Dopo fù trasferita all’Ospedale Psichiatrico Juliano Moreira, dove vi è rimasta fino alla morte, vittima di un infezione generalizzata nel 1992. Questa personalità singolare è descritta nelle parole di Viviane Mosè, filosofa, poetessa, psicologa e psicoanalista, insegnante e dottoressa in filosofia, per l’istituto di Filosofia e Scienze Sociali dell’Università Federale di Rio de Janeiro, autrice di sei libri di filosofia e sette libri di poesia:
Stela fu una sopravvissuta del processo di mortificazione caratteristico della struttura psichiatrica arcaica e tradizionale, dei manicomi. In questi c’è la cancellazione dell’individualità, della soggettività, del desiderio e unicità. Le persone vengono ridotte ad un ammasso senza forma e senza volto. L’uniforme è il simbolo della reale uniformità. Il tempo è il tempo della morte. Il trattamento, detto scientifico, si riduce al controllo del corpo, con la violenza a chi osa sfidare l’ordine (MOSÉ, 2001, p.13).
Nel Regno degli insetti e degli animali è il mio nome / Reino dos bichos e dos animais é meu nome, si nota già dal titolo, lo sguardo rivolto alla condizione nell’ospedale psichiatrico: “Primo vedo il mondo dei vivi/Dopo vedo la vita e la morte/Dopo dei morti/Dopo gli insetti e gli animali/Dopo tra la vita e la morte/ Dopo dei morti/ Dopo degli insetti e animali/ Rimane solo la volontà/Come insetto e come animale”. (PATROCÍNIO, 2001, p. 116). O la “cura” dei medici psichiatrici: “La medicina che prendo mi fa molto male/E non voglio prendere nessuna medicina che mi faccia stare male/Io cammino un po’ barcollando/Sto barcollando quasi a cadere e se cado mi rialzo/Vado ancora un po’/Torno a cadere”. (PATROCÍNIO, 2001, p. 54).In alcune poesie è come se lei descrivesse le fasi di una lobotomia:
Io già sono stata operata varie volte/ Ho fatto varie operazioni/Sono tutta operata/Operata al cervello principalmente/ Io pensavo che andavo ad accusare/Se io ho qualcosa nel cervello/Non accuso di avere un cervello/Un apparecchio che pensa ben pensato /Che pensa positivo/Ed è collegato ad un altro che non pensa/Che non è capace di pensare a nulla e né lavora/Loro prendono quello che stai pensando/ E chi sta senza pensare/ E vanno ad esaminare questo apparecchio del pensare o non pensare /Legati l’uno all’altro nella mia testa nel mio cervello/Funzionante sopra il tavolo/Loro studiando fuori dalla mia testa/Io già sto in questo punto dello studio/di categoria (PATROCÍNIO, 2001 p. 69).
Nel 1979, lo psichiatra italiano, Franco Basaglia, pioniero nella lotta contro la fine dei manicomi e responsabile della riforma psichiatrica in Italia. Conobbe Colonia. In seguito, indette una conferenza stampa, alla quale affermò:"Oggi ero in un campo di concentramento nazista. In nessun posto al mondo,sono stato testimone di una tragedia come questa "(Arbex, 2013, p. 15). Per Vivane Mosé, lo scontro della riforma psichiatrica si trasmette nella cultura, nel guardare la differenza di come la società si occupa dell'altro. (MOSÉ, 2001, p. 16).
Nel 1989, il deputato Paulo Delgado, propose il progetto di estinguere progressivamente i manicomi e regolamentare i diritti dei malati di mente, ma solo nel 2001 la legge della Riforma Psichiatrica fu sanzionata: a Lei nº 10.216 del 6 Aprile del 2001, che è anche conosciuta come Legge Paulo Delgado (FERREIRA, 2006, p. 77-85). L’Ospedale Psichiatrico fu estinto per fare posto ad un nuovo modello di trattamento. La creazione di un Centro di Atenção Psicossocial- C.A.P.S.- che ha come obbiettivo di evitare che i malati siano reclusi e dimenticati in isolamento, allo stesso tempo l’obbiettivo è quello di collocare il malato in contatto diretto con la famiglia e con la società come una forma di aiuto sociale. In questi centri, il malato ha un assistenza, psicologica e farmacologica, nonché l’integrazione nel gruppo con la gente del quartiere o della città.
Come riportano Gonçalves & Sena (2001); Ferreira (2006),la Riforma Psichiatrica , in Brasile è avvenuta negli anni 1980, in occasione dell’attuazione del Sistema Unico di salute (SUS). Stela beneficiò del momento, poiché le porte che rimasero chiuse durante i secoli, si aprirono. Si tratta di un tempo non lontano da noi, in cui i malati di mente erano trattati come animali irrazionali e che questo furono isolati, rinchiusi,legati alla corrente, puniti. E come animali, furono porcellini d’india per il progresso della scienza. Dopo la riforma psichiatrica, si inaugurò un nuovo tempo. Il tempo della libertà del silenzio. Stela parlava e parlava e parlava…
Le frasi di Stela do Patrocínio sfuggono alla costruzione sintattica per entrare in un altro ritmo. Il ritmo degli occhi spalancati. Parole in coda ordinate senza respirare. E per questa mancanza di respiro, l’organizzatrice ha pensato bene di economizzare sulle virgole per dare il ritmo di un fiume nel discorso. E questo vuoto nel mondo dell’irregionevolezza- dei simboli, dei sogni, della poesia , dell’arte infine- Che Stela struttura nel suo pensiero. Il suo discorso si organizza nella tensione dell’ordine e del disordine. “Stela parlava e con le sue chiacchiere esponeva nel suo intervento il suo parlare. Stela parlava con parole sue. E parlava di una forma molto personale. Le sue parole estremamente ben pronunciate erano sempre cariche di molta emozione” (MOSÉ, 2001, p. 28).Cosciente del suo Essere e del suo stare al mondo, Stela afferma la sua identità confermata dal punto di vista degli altri:
Io sono Stela do Patrocinio e ben patrocinata/ Sono seduta su una sedia inchiodata ad un tavolo/ Donna nera e Creola/ Io sono una nera scura e creola/ Cosa che Ana mi ha detto /Sono nata pazza/ I miei genitori volevano che io fossi pazza/ I normali avevano invidia di me che ero pazza (PATROCÍNIO, 2011, p.66).
Il libro non è stato scritto da Stela, nonostante ella scrivesse su cartoni. I testi furono parlati e scritti durante due anni , dal 1986 al 1988, dalle artiste Neli Gutmacher e Carla Guagliardi. Dopo di ché furono trascritte dalla psicologa Mônica Ribeiro e organizzati da Viviane Mosé. L'organizzatrice, in una delle sue affermazioni nel libro, dice: "Questo libro è il risultato di un processo collettivo, costruito, molte volte, in anonimato e nutrito dal senso di solidarietà con chi non possiede un domani né un ieri" (Mose, 2001 , p. 15). Secondo Viviane Mosé, Stela è stata diagnosticata portatrice di una “personalità psicopatica disorganizzata schizofrenica, che si evolve in azioni folli" . E della sua esistenza, Stela parla:
Io ero gas puro, aria, spazio vuoto, tempo/ Io ero aria, spazio vuoto, tempo/ E gas puro, così lo spazio vuoto/ Io non avevo formazione/ Non avevo laurea/ Non avevo dove fare la testa/ Fare braccia,f are corpo/ Fare orecchie, fare naso/ Fare il palato, fare parole/ Fare muscoli, fare dente/Io non avevo dove poter fare nulla di queste cose. Fare testa , pensare a qualche cosa/ Essere utile, intelligente, ragionare/ Non avevo un posto per prendere queste cose. Io ero lo spazio puro. (PATROCÍNIO, 2001, p. 21).
Il libro Nel Regno degli insetti e degli animali è il mio nome/ Reino dos bichos e dos animais é o meu nome fu lanciato nel 2001 dall’editore Azougue Editorial, intitolato “Poesia Brasiliana”. L’introduzione è stata assegnata a Sérgio Cohn, coordinatore di Azougue Editorial. L’organizzazione e la presentazione è stata di Viviane Mosé. Il libro è composto da una parte di “Ringraziamento”; “Epigrafe”; “Sommario” ; “Stella”, “Presentazione: Stela do Patrócínio- Un viaggio poetico in un istituto psichiatrico”, “Parte I- Un uomo chiamato cavallo è il mio nome”.
“Parte II- Io sono Stela do Patrocínio, ben patrocinata”, “Parte III- Nelle garze mi sono formata, e ho preso colore”, Parte IV- Io percepisco il mondo” , Parte V- La parete ancora non è dipinta di azzurro” e “Parte VI- Regno degli insetti e degli animali è il mio nome”; “Stela per Stela- Intervista” e “Cronologia”. Nell’intervista fatta da Neli Gutmacher e Carla Guagliardi a Stela do Patrocínio, vengono evidenziati alcuni stralci che ci danno un'idea di che cosa sia stata la sua esperienza in manicomio:
Come sono i suoi giorni qui a Colonia?
Lunedi, Martedì, Mercoledì, Giovedi, Venerdì, Sabato ,Domenica, Gennaio, Febbraio Marzo, Aprile ,Maggio, Giugno, Luglio, Agosto,, Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre, dal giorno alla tarda notte pascolo,rimango a pascolare più di un cavallo. Lui già disse un uomo chiamato cavallo è il mio nome.
Lei passa il suo tempo molto male qui?
Lo passo male perché faccio costantemente iniezioni.
Iniezioni per uomini e il liquido scende.
Chi te li fà queste iniezioni?
La polizia segreta invisibile senza colore
E a che cosa servono queste iniezioni?
Per forzare ad essere malati mentali .
Il giorno che lei smette di fare iniezioni sarà curata?
Sarò completamente curata se io non prendo queste medicine.
Non prendendo elettroshock
Non rimango caricata di veleno avvelenata.
Lei ha studiato Stela?
Ho studiato un libro
Linguaggi
Comment allez vous?
Ça va bien, la signora sta bene?
Lei è professoressa?
Non sono professoressa, ma ho lavorato studiando lettera per lettera frase per frase pagina per pagina.
Il suo nome è Stela, lei conosce il significato ? Cosa vuol dire Stella?
Stella. Stella del mare.
Ci racconta una poesia per noi?
Non ho più nessun ricordo di nessuna poesia
Tutto ciò che lei racconta è poesia Stela.
E’ solo la storia che io sto raccontando, aneddoti (PATROCÍNIO, 2001, p.153).
Stela e i loro relatori hanno avuto un effetto significativo: Il libro Regno delle creature e degli animali è il mio nome/ Reino dos bichos e dos animais é o meu nome, organizzato da Viviane Mosé, fù finalista al premio Prêmio Jabuti nel 2002 e 2005. I suoi testi, furono utilizzati in concerti musicali, da musicisti e parrucchieri. Furono adattati per il teatro, nel monologo Occhiali Stela do Patrocinio, abito blu, scarpa nera , borsa bianca e…Pazza/ Stela do Patrocínio óculos, vestido azul, sapato preto, bolsa branca e...doida, interpretato da Clarisse Bautista e diretto da Nena Mubarac. Stela è stata rappresentata anche al cinema - Stela do Patrocínio- la donna che diceva cose (Documentario, 14 min, DV, RJ, 2006.), Creato da Márcio de Andrade , trasformato in un'opera dal compositore Lincoln Antônio. Dal titolo del libro segue il poema:
Il mio vero nome è sarcofago/ Sepoltura/ Cimitero defunto cadavere/ Scheletro umano/ Casa di cura per vecchi/ Ospedale di tutte ciò che è malattia/ Ospizio/ Mondo delle creature e degli animali/ Gli animali: dinosauro, cammello, giaguaro,, tigre, leone, scimmia, dinosauro , giraffa, tartaruga/ Regno delle creature e degli animali è il mio nome/ Giardino zoologico/ Quinta da Boa Vista. (PATROCÍNIO, 2001, p.118).
Per Viviane Mosé, il testo di Stela do Patrocínio nasce come una pietra miliare nella letteratura brasiliana, rivestendosi di maggior importanza e significato. Si unisce molti altri libri di testimonianze di scrittori che hanno riportato le loro esperienze in case di cura, manicomi. E arriva con vigore e densità, costruendo la storia. In questo capitolo, intitolato ESTRELA/STELLA, l'organizzatrice inizia e io finisco con un'epigrafe del cantante cubano, Paul Milanez, indicando verso la Stella Stela: "Ciò che brilla di luce propria, nessuno può spegnere" (MOSÉ, 2001, p. 13).
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